Gallese Paolo
Gallese Paolo, nato ad Avezzano (AQ) il 5/6/1973 e ivi residente in via Delle Orchidee Lo scorso mese Il Filo Editore ha pubblicato la mia raccolta di poesie dal titolo “Resti sparsi”, prima della quale infatti, pur scrivendo da molto tempo, non ho mai provato a pubblicare 
nulla né a partecipare a concorsi letterari.
	| “Volute di fumo” 
 Identità narrativa in ampio paesaggio di parole
 E ninfee appena mosse da un gocciolio impaziente
 La ventura di tempi che viandante mi videro
 Altro non è se non scirocco in un cielo di neve
 Insaziabile ingollatore di chilometri e paesaggi
 Nell’abbacinante trionfo della dialettica solare
 Ad un passo da me di sghimbescio a strattoni
 Si stabiliron volute di fumo recalcitranti alla fuga
 Parvero dapprima segnare il tempo scansionandolo
 Poi sollecitarono il feroce sordo trascorrere
 Nell’abbaglio osceno e desertico della “ora costante”
 Smise il cuore il secolare enfatico affanno
 Brogli cerebrali disfecero nodi ed associazioni
 A mezz’aria la luce naufragava come velata
 Cessandosi l’età d’avanzare sparse il nulla
 Ricerca curiosità desiderio dolore e morte
 Tutte loro miserabili istintuali giacigli d’anima
 Come levità d’ombre fluttuaron fino a scomparsa
 Galleggiai allora sulfureo ed immemore
 Pura essenza di solo profondo respirare
 Armonie di cose che semplicemente sono
 Fui frammento atemporale e placida stasi
 Prolungato sonno senza risvegli ed alba
 Non maturazione né fibra ch’avvizzisce
 Smarrito il sentiero ma senza smarrimento
 .....m’accorsi poi risovvenendo alle umane cose
 Ch’ancor la strada m’enumerava il tempo
 e le parole e il fumo rarefatte via via col vento
 | “Li colse a cercarsi” 
 Li colse a cercarsi, lui imbronciato
 selvaggio a bofonchiar perpetue storie,
 lei pianto di rimpianto, memorie
 che, certo, risorgean dal passato:
 passato di fobie e sogni strani,
 lacrime che imperlavan l’erba del giardino,
 di contro l’odor trascinante del gelsomino
 e a sera quiete rotta da un latrar di cani.
 Lei che, a discender il selciato angusto,
 volutamente dimentica del vociar sottovoce,
 era un frusciar di seta ed una rabbia feroce
 “dolce nenia amica cantami che è giusto!”.
 Gli odori ammalianti dell’estate
 suggerivan che, forse, l’esistenza di Dio
 sospinto avrebbe un dolce nettare d’oblio,
 intriso negli occhi celesti delle fate;
 e lei, occhi di brace scintillanti
 d’una strega inconsapevol d’esser tale,
 fuoco che vive d’un rosseggiar universale,
 alchimia suprema e scambio di pelle,
 loro amanti.
 Lui, senza patria e selvaggio,
 nell’incongruenza del fato che nasce,
 del dubbio ch’arde, del forse in fasce
 ch’anela al trionfo, al coraggio;
 quasi che stava per eclissarsi,
 lui caos tedio bailamme,
 lei timori follie e fiamme,
 il crepuscolo li colse a cercarsi.
 
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